È davvero arduo trovare le parole adatte per iniziare questo articolo. Sembra che nessuna descrizione sia all’altezza dei racconti di Elena Ferrante. La sua narrazione, così dettagliata e descrittiva, ha introdotto un nuovo stile letterario nel nostro Paese. Attendevamo da tempo l’adattamento televisivo delle vicende di Lilà e Lenù, due bambine che si sono conosciute tra i banchi di scuola, in un’epoca segnata dal dopoguerra nel difficile contesto meridionale italiano. Nascere donna in quel contesto era quasi una condanna, soprattutto se si era povere anche se in questa storia c’è stato un punto di svolta: l’amicizia! Le due bambine, una l’amica geniale dell’altra, si sono unite nell’idea di lottare per l’emancipazione sociale delle donne. Avevano intuito che l’istruzione, la cultura e i libri potevano abbattere le disuguaglianze, piantando così un seme nei loro cuori che avrebbe germogliato per tutta la vita.
Ma partiamo dai numeri di questa serie tv internazionale targata Rai, Tim Vision e HBO (vi ricorda qualcosa “Game of Thrones”?): 5000 comparse, 150 attori, 8000 bambine provinate per cercare i volti di Lila e Lenù più fedeli al romanzo, oltre 20mila metri quadrati di scenografie costruite in oltre 100 giorni di lavorazione, 14 palazzine, 15 set, una chiesa e un tunnel. Grandi numeri per una storia semplice, sì! ma che porta in scena la voglia di una cruda verità e quella rivalità che sostiene, che spinge al miglioramento di sé. Storie d’amore e ferocia, tra amiche di quartiere e anche tra genitori e figli. Una storia in cui si combatte costantemente contro l’ignoranza che regna sovrana nei quartieri più poveri e periferici di una Napoli anni ’50. E proprio qui la penna di Elena Ferrante dipinge una realtà prossima al verismo più lirico, dove il napoletano, lingua e cultura, diventa protagonista incontrastato.
Immediato, sensibile, scorticante, a Napoli si dice pure che “sfraveca” tra le pareti dell’anima. Due amiche, un po’ nemiche, che “sfravecano” con tutta la loro forza per emergere da una realtà marcia fatta di povertà e violenza, ammuffita come l’intonaco che si stacca dalle pareti e si sfracella ai piedi di una società prettamente maschilista. In questa storia l’unica lucente e resistente pennellata nel destino delle due ragazzine viene data dalla maestra Oliviero che insegna loro l’importanza di utilizzare un inchiostro indelebile per dipingersi da sole quel ruolo che le consentirà di proteggersi dall’uomo.
Anche se le loro vite prenderanno una piega diversa la loro complementarietà le terrà unite per sempre. Il collante di questa storia è la voglia di ribellarsi ad un destino già scritto, a quel copione che negli anni ’50 ogni donna doveva attenersi. E proprio tra le insidiose vie di un sentimento genuino e crudele che emerge la storia di queste due amiche che si nutrono a derubano a vicenda sia delle loro qualità che delle loro bassezze.
Se non lo avete ancora capito non si tratta di un’amicizia tutta rosa e fiocchettini. Si stagliano sullo schermo, e tra le pagine della tetralogia, parole e immagini di un’amicizia possibile sono in un’epoca in cui veniva realmente praticata e di amori da sempre poco sinceri che rispecchiano il gioco d’inganni ancora molto attuale. Seguire “L’amica geniale” in tv e un regalo che dobbiamo a noi stesse e leggerlo non potrà fare altro nutrire la nostra anima. Ho amato le due protagoniste delle quali ancora oggi sento la mancanza, probabilmente perché un’amicizia così sincera non l’ho mai trovata. Mi sono affidata a questa storia che emerge dal rione miserabile di una Napoli che non riesce a migliorare. Mi sono affidata all’affetto forte e contrastato di queste due amiche, lo stesso sentimento che un napoletano prova nei confronti della propria città.
L’amica geniale non è un semplice romanzo, l’amica geniale è un progetto di vita che l’autrice ha generosamente condiviso con il mondo intero. Guardatelo e leggetelo, non importa se a questo punto vi capita di vedere prima la serie tv, che tuttavia resta molto fedele a romanzo con una ricostruzione storica altissimo livello, ma fatelo! Ne vale la pena. L’umanità del regista Saverio Costanzo e palpabile e la genuinità delle attrici alla loro prima esperienza rende tutto ancora più reale e concreto; un esempio? gli sguardi intensi tra due bambine hanno il tempo di fare le bambine. La prosa di Elena Ferrante si anima sugli schermi televisivi con colori che sfumano in base allo stato d’animo delle protagoniste. Fedele è anche la lingua napoletana, anche le “male parole” che sottolineano ancora di più la narrazione di un mondo a parte, fuori dagli schemi, come quello partenopeo.