“Qui rido io” più che un capolavoro (perché non saprei definirlo altrimenti), sembra più un dono fatto ai napoletani. E se sei un vero napoletano non puoi non andare al cinema a vedere questo film. Tra le tante cose che mi frullano per la testa, la prima, è una Maria Nazionale brava in maniera sconvolgente. La cantante nel ruolo di Rosa De Filippo, la moglie di Eduardo Scarpetta, sembra cucirsi addosso il personaggio come se fosse una seconda pelle. Lei è la sposa di Scarpetta, quella ufficiale, perché anche se non di fatto, il genio, aveva avuto più amanti e le frequentava tutte, sotto lo stesso tetto, come una grande famiglia allargata.
Famiglia monogamica VS famiglia allargata
Mi aspettavo un racconto diverso, temevo che mi avrebbe infastidito, ma invece ho dovuto analizzare e contestualizzare per comprendere una situazione inaccettabile ai nostri giorni, e non perché gli Scarpetta fossero figli di un’età senza morale, poiché questo era il contesto dell’epoca, una grande famiglia allargata. Certamente, Eduardo Scarpetta esagerò, ma così stanno le cose!
La narrazione di Mario Martone, il regista, è come sempre impeccabile e offre allo spettatore la possibilità di schierarsi o meno a favore della famiglia tradizionale, che sembra essere messa sotto accusa, oppure schierarsi dall’altra parte, denunciando il modo in cui le donne vivevano una condizione di violenza, presentata come normale, in cambio di una vita agiata e senza la paura di dover affrontare la fame in un’epoca difficile come quella in cui visse la famosa famiglia/compagnia teatrale.
Da quando “siamo usciti a libertà”, quindi intorno a maggio 2021, questa è la seconda volta che ritorno al cinema e la lista dei film da vedere si allunga sempre di più. Sono contenta di aver aperto questa stagione cinematografica con “Qui rido io”, mi è sembrato di vivere in anticipo una parentesi del Natale che mi ha scaldato il cuore, perché a Napoli non è Natale senza struffoli, Roccocò e le commedie degli Scarpetta/De Filippo (vedi Natale in Casa Cupiello). L’atmosfera con la quale inizia il film, inevitabilmente sul palco, è quella con uno strabiliante Felice Sciosciammocca, interpretato da un divino Toni Servillo, che a sua volta indossa i panni di Eduardo Scarpetta. Felice Sciosciammocca è il personaggio che lo ha reso celebre; con una sola opera teatrale incassò l’equivalente di circa 5 milioni di euro attuali. Sì, avete capito bene e con un’opera teatrale, non stiamo mica parlando di cinema.
Mario Martone, con una fotografia impeccabile, ci porta nel mondo di Scarpetta, un uomo dalle molteplici sfaccettature: un genio, un narciso, ma anche una persona altruista. Al centro della narrazione c’è lui, l’uomo con una sete insaziabile per le donne. Voleva averle tutte al suo fianco, costringendole a vivere sotto lo stesso tetto così da poter mantenere il controllo sulla “carretta di figli” e sulla loro formazione, poiché sarebbero serviti a creare la “Scarpetta Dinasty”.
Il processo del secolo
Tuttavia al centro della storia non vi è solo la famiglia, ma anche quello che fu definito processo del secolo. Eduardo Scarpetta scrisse la parodia di un’opera: “Il figlio di Iorio” ispirandosi alla “Figlia di Iorio” del vate Gabriele D’Annunzio. Il poeta che inizialmente non fece obiezioni, sotto la pressione politica portò Scarpetta in tribunale accusandolo di plagio. A quel punto il genio del teatro napoletano diventò un bocconcino prelibato per la concorrenza che constava di autori, letterati, poeti e cantori che ho studiato e amato profondamente e che mi ha ferito profondamente doverli osservare sotto la lente di ingrandimento del sentimento più bieco: l’”invidia”.
Di Giacomo, Bovio, Ferdiando Russo, si schierarono tutti contro di lui. Fu grazie all’interpretazione di Benedetto Croce (e questa è storia nessuno spoiler) che si creò un precedente nel tribunale di Napoli. Scarpetta fu accusato di contraffazione ma Croce sottolineò quanto invece la parodia non fosse plagio e non avesse l’intento di infangare un’opera: ma serviva invece a capovolgerla, riscriverla, e trovarne il lato comico nella sua tragicità. E così che nacque la parodia come forma di libertà. Questa è storia del nostro Paese, un’importante eredità che dovrebbe farci capire una cosa fondamentale: ovvero che la storia stessa si ripete e si risolve sempre allo stesso modo e vi spiego il motivo.
Il Karma: Felice Sciosciammocca uccide Pulcinella, il Cinema uccide Sciossciammocca
Tutto, ogni cosa che potrai mai inventare, verrà superata. A restare intatti (più o meno) saranno solo i sentimenti di cui un’opera è intrisa. Lo stesso Eduardo Scarpetta si vantò di aver ucciso il Pulcinella di Potito, ed effettivamente lo fece. Si andava a teatro quasi esclusivamente per vedere il suo personaggio più celebre. Ma anche il suo Felice Sciosciammocca non sarebbe vissuto in eterno pur vivendo un secondo rinascimento grazie al figlio Eduardo De Filippo e al cinema grazie a Totò. E proprio qui vedete che entra in gioco il cinema che distruggerà il teatro, come lo streaming oggi che fa incetta di abbonati. È la legge spietata dell’evoluzione, della tecnologia che calpesta il genuino per dare visibilità all’artefatto con i suoi mega effetti speciali sempre più poveri di dialoghi, identificazione e catarsi.
Grazie Mario Martone per averci regalato: “Qui rido io”
Grazie al coraggio di Mario Martone per questo dono che non ha prezzo se non il costo del biglietto al cinema. Grazie per averci catapultato nel passato e di aver dato spazio (per l’ennesima volta) alla storia locale, del mondo napoletano, della nostra essenza che se solo fosse iniettata in minima dose nel sangue di tutti, secondo me, vivremmo davvero in un mondo migliore!
Il cast e curiosità
Recitato ad altissimo livello con i tempi comici perfetti, questo film è un gioiellino da non perdere, me lo sono goduto tutto. Non mi stupirei di me stessa se andassi a cinema per rivederlo. Il cast è favoloso… tra gli interpreti anche l’attuale Eduardo Scarpetta nei panni del suo trisavolo, Vincenzo, e che ho apprezzato tantissimo in “Carosello Carosone” e ancora prima ne “L’Amica Geniale”. La sua tecnica, la sua bravura, è sicuramente all’altezza del cognome che porta.
Prima di andare al cinema vi consiglio di studiarne un po’ la storia coniugale poiché non è facile districarsi tra gli intrecci famigliari. Tra le concubine di Eduardo Scarpetta ci sono la sorellastra della moglie, Anna De Filippo, dalla quale ebbe due figli: Eduardo e Pasquale e probabilmente il padre di Roberto Murolo (cantautore napoletano) e figlio di Ernesto. Dalla moglie ebbe Vincenzo e pare riconobbe Domenico, figlio che nacque dalla scappatella di Rosa De Filippo con Vittorio Emanuele II, infatti era soprannominato “‘o figlio do’ Re”. Da Luisa De Filippo, nipote della moglie, nacquero invece i figli probabilmente più celebri: Titina, Peppino ed Eduardo, quest’ultimo il più grande drammaturgo del mondo del secondo Novecento.
Un’altra curiosità legato al titolo del film: “Qui Rido Io” è una frase che campeggia sulla facciata della villa “La Santarella”, acquistata da Scarpetta grazie ai proventi della sua opera teatrale “Na Santarella”.